Gole del Fiastrone e le Lame Rosse, se non le vedi non ci credi.


I Sibillini vengono descritti molte volte come i grandi monti dalle lunghe e sottili creste. Poche volte viene usata una definizione più vera, appropriata e sintetica per esaltare una caratteristica importante  di un gruppo montuoso che comunque non basta per descriverne le note più salienti. Il lato est di queste montagne è segnato da numerose e strette valli parallele che tagliano il territorio dove l’acqua ha scolpito la roccia e creato ambienti suggestivi di rara bellezza. Forre strettissime sono state contese all’acqua dall’uomo; l’acqua è stata parzialmente captata per usi civili e nelle forre sono stati creati stretti sentieri che sono stati utilizzati per oltrepassare la catena montuosa. Le Gole dell’Infernaccio e dell’Ambro ne sono un esempio; in quella del Fiastrone, meta dell’escursione di oggi, l’uomo si è sostituito alla natura, l’ha adattata pesantemente al suo interesse e regolamentandola si ha dato modo di vivere  un paradiso naturalistico ed escursionistico di rara bellezza.
Il torrente Fiastrone nasce nel cuore dei Sibillini, dalla fonte del Fargno, poco lontano dall’omonima sella; per millenni (prima che negli anni ’50 non venisse interrotto e quindi regimentato, con la costruzione della diga che ha generato il lago di Fiastra) si è scavato un letto per scendere al mare e nell’incontrare il calcare di quelli che oggi sono i  Monti Fiegni e Corvo si è dovuto scavare un passaggio. Strettissimo, per circa un chilometro, in un punto le due montagne si toccano a formare un arco naturale. Sono queste le Gole del Fiastrone, siamo nel lembo nord del Parco dei Sibillini, solo una delle attrattive dell’escursione che vi suggeriamo, perché prima andremo a scoprire un angolo suggestivo pari alle più famose piramidi di terra del Trentino o della Cappadocia e di passaggio sfioreremo ciò che rimane di un’antica grotta utilizzata come eremo intorno agli anni 1500 dai discussi e, pare,  oltraggiosi eremiti dell’ordine dei Padri Chairini, poco osservanti, si dice, della regola di San Francesco.
L’escursione è un anello, mediamente lungo (10/11 Km) con un dislivello totale di circa 500 metri che può durare dalle 5 alle 7 ore in dipendenza di quanto ci si ferma nei luoghi maggiormente attrattivi. Parcheggiamo l’auto nel piccolo piazzale antistante la diga del Lago di Fiastra, siamo intorno ai 650 metri di altezza; si attraversano i 254 metri dell’arco della diga e una volta dall’altra parte si oltrepassa il breve tunnel che immette in un evidente sentiero; per frequenti tornanti si sale repentinamente una cinquantina di metri fino ad incrociare una carrareccia ampia. Non mancano cartelli e segnavia del percorso, errori di scelta di direzione sono scongiurati, si prende comunque a destra; subito in leggera discesa, lo sguardo viene rapito dalla lunga e stretta gola del fiastrone, interamente ricoperta di folta vegetazione, che da li sembrerebbe  non poter regalare le emozioni promesse, e dalla parete imponente e dell’arco della diga.
Il sentiero segue le coste del monte Fiegni, con leggere e continue variazioni di pendenza sale costantemente e attraversa una fitta quanto meravigliosa leccceta; un palo con un segnavia contraddistingue un incrocio dopo circa 25 minuti dalla diga, si tarscura il sentiero che scende sulla destra verso le gole (sarà il sentiero da cui si torna e si chiude l’anello). Continuando nella lecceta a tratti così fitta da non far passare i raggi del sole, dopo circa altri 20 minuti si raggiunge il fosso della Regina; nessuno scorrimento d’acqua, almeno nel periodo estivo, ma una grande fiumana di ghiaia sulla sinistra. Nessuna avvisaglia ancora di ciò che ci aspetta, tutto è immerso nella boscaglia; si sale il ghiaione con i passi che affondano nell’inconsistente fondo.
Pochi di minuti dura la salita, la pendenza a tratti si fa ripida e si superano di poco gli 800 metri s.l.m, ma quando le quinte del bosco si allargano per lasciare il posto alle Lame Rosse ogni indugio si perde nello stupore. Incastonati nel fitto della vegetazione, proiettati nel blu di un cielo raro a vedersi in questi periodi, decine e decine di pinnacoli di proiettano verso l’alto. Lame Rosse.
Indiscutibilmente chi ha coniato questo nome per distinguere questo fenomeno naturale ha condensato con maestria il misculglio di emozioni che nascono. Geologicamente le Lame Rosse sono agglomerati detritici di scaglia rossa profondamente incisi dall’erosione dei fenomeni atmosferici, cui croste calcitiche in bilico sulle guglie hanno impedito l’omogenea erosione; le lastre calcitiche hanno fatto si che si formassero  figure che ricordassero funghi più o meno sottili o panciuti o lame detritiche in bilico con la gravità terrestre; muri verticali di friabile scaglia rossa alternati a canali scavati dalle forze atmosferiche e sopra un susseguirsi di pinnacoli. Poche centinaia di metri di parete rosata, un fiume di ghiaia che scorre a suoi piedi; una meraviglia naturale ed il regno dell’effimero, già, effimero come la consistenza di questi agglomerati destinati a modificarsi, crollare, ricrearsi, fin tanto che la parete del monte Fiegni avrà da regalare una vena di questa pietra rossa.
Scendendo il fiume di ghiaia si riprende il sentiero precedentemente lasciato, ci si inoltra in una lecceta, se possibile ancora più fitta, si percorre una tratto sottile e picco sulle gole (793 m. s.l.m.) che aggira uno sperone e che offre un punto di eccezionale panoramicità sulla valle e sul lago. Continuando a seguire le indicazioni per Monastero e per le gole del Fiastrone, si lascia un sentiero che sale a sinistra e si continua fin tanto che non diventa molto ripido in discesa. Il fondo, privo di vegetazione o roccia (questo tratto dura almeno una ventina di minuti), in caso di pioggia potrebbe diventare davvero insidioso; è comunque e sempre consigliabile dotarsi si scarpe con un fondo ben scolpito.
Dopo il tratto più ripido incrociamo il sentiero che proviene da Monastero; prendendolo sulla destra in pochi minuti si raggiunge l’antro della grotta dei frati. Ormai spoglia e abbandonata presenta ancora pochi segni della presenza umana già citata in precedenza; una fonte d’acqua è probabilmente riconducibile ai tempi degli eremiti, un presepio classico ma moderno ed un altarino sono i segni invece di chi usa ancora la grotta ai tempi nostri per ritirarsi e sfuggire al mondo almeno per alcuni attimi.
Si ripercorre il breve tratto di sentiero fino a ritornare su quello per Monastero; pochi minuti di discesa e si inizia a percepire lo scrosciare dell’acqua, i segnali del percorso fin troppo presenti a questo punto non servono più. Un ultimo tratto scivoloso e ripido ci fa letteralmente precipitare nel letto del Fiastrone; abbiamo solo lo spazio per il “cambio gomme”. Via gli scarponi da montagna che vengono appesi allo zaino, montiamo delle più agili scarpe da passeggio; un po’ proteggeranno dal freddo dell’acqua e di certo aiuteranno i tanti guadi che andremo ad incontrare. Dopo il primo guado il sentiero scorre abbastanza marcato nascosto nella vegetazione; siamo letteralmente all’interno del letto del fiume, qui ancora ampio e dominato intorno da pereti scoscese ma ancora ricoperte di alberi e boschi, lo risaliamo. I guadi si susseguono, ora procediamo sulla sinistra del fiume, ora sulla destra; superiamo fitte fioriture lacustri dove la fanno da padrone farfalle coloratissime e libellule di un blu così intenso che è impossibile descrivere. Di nuovo dentro il fiume e poi sull’altra sponda, superando massi di roccia e alberi caduti a volte sembra addirittura impossibile che il sentiero continui tanta è fitta la vegetazione mentre ad ogni passo il sentiero si apre di nuovo.
Entusiasma progredire in questo ambiente. Così per una ventina di minuti, poi lentamente le gole si stringono, la luce inizia a filtrare meno e all’improvviso compare la spaccature tra le due montagne dove si intuisce che si insinui il fiume. Un cambio radicale di prospettive e di emozioni; dalla luce e dal verde lussureggiante della valle si passa nel mondo del buio e delle pareti viscide e spioventi; per sentiero il fiume stesso. La temperatura si abbassa repentinamente ed un po’ si fatica ad adattarsi alla poca luce. E come entrare negli antri dei racconti epici; penombra, il ruomore dell’acqua assordante, le pareti verdastre, verticali, ricoperte di muschi e bagnate quasi si toccano, in un punto formano anche un arco naturale, la corrente dell’acqua in certi tratti è forte, quasi mai arriva al livello delle ginocchia ma l’emozione più forte è che non ne vedi mai la fine. Se vuoi vedere una parvenza di luce diurna devi alzare lo sguardo sopra di te e farti strada tra quella che sembra essere una vera e propria fessura della crosta terrestre con la vegetazione sempre in bilico nel vuoto che chiude a tratti la visibilità del cielo e fa da tetto. Per fortuna ogni tanto si formano delle spiaggette nelle tante anse delle gole dove è possibile mettersi all’asciutto e far riprendere temperatura ai piedi. Così per una trentina di minuti, sempre increduli ed entusiasti dell’ambiente che si sta “profanando”. E’ davvero una meraviglia della natura, una bella emozione che difficilmente verrà parcheggiata nella cantina della memoria.
Quando si inizia ad intuire che le gole si stanno riallargando si viene presi da una sorta di malinconia, mai si vorrebbe uscire da quel mondo diverso. Fuori dalle gole vere e proprie, quando l’ambiente si riallarga e si viene di nuovo impossessati dalla forza rigeneratrice dei raggi del sole pochi guadi ancora ci aspettano; ad un certo punto la vegetazione si fa indistricabile, il sentiero conduce fuori dal letto del fiume (si è ancora immersi nella vegetazione, la diga non si vede e nemmeno le Lame Rosse, anche se siamo esattamente all’imbocco del fosso della Regina) e con stretti tornanti, di nuovo ripidi e scivolosi, conduce in alto, dove finalmente ed inaspettatamente ci accorgiamo che a far rumore questa volta è il ……. silenzio. Incredibile il fracasso dentro le gole, anche se, tornando bambini, non ci si è badato affatto.
Qualche tornante ed il sentiero torna in piano, ovviamente si approfitta per asciugarsi e riscaldare i piedi e rimontare le giuste calzature. Da qui per un breve tratto il sentiero sale ancora, poi per un lungo traverso di circa una trentina di minuti si ricongiunge al sentiero dell’andata. Quindici minuti ancora e si è in vista della diga. Un lago di un blu ora più luminoso e meno cupo di questa mattina spicca come una gemma nell’infinità del verde delle leccete che dominano questa zona di Sibillini; mi affaccio nella voragine dei 90 metri che sprofondano dal muro della diga, allungo lo sguardo nella stretta valle del Fiastrone e quasi mi sembra impossibile che in mezzo a quella intricata vegetazione possa esistere il paradiso che ho appena vissuto.
Non rimane che dare due “sconsigli” ed un consiglio;
gli “sconsigli” : evitare l’escursione nei periodi estivi afosi, la valle è si coperta da vegetazione ma è anche molto bassa, alte temperature ed alti picchi di umidità potrebbero giocare brutti scherzi, e nei periodi invernali, dove il fiume regimentato non rappresenta mai un problema di flusso d’acqua ma dove la temperature dell’acqua stessa e quella esterna potrebbero giocare brutti scherzi ben peggiori di quelli del periodo afoso.
Il consiglio: se avete tempo, una  volta in auto, continuate per San Lorenzo al Lago e successivamente per Fiastra, sono pochissimi chilometri, seguite le indicazioni per il Rifugio Tribbio e lasciatevi andare alla tranquillità del posto che sorge accanto al GAS e alle prelibatezze, tutte specialità locali, che renderanno di certo ancora più indimenticabile la giornata. Una telefonata preventiva e qualcosa da mettere sotto i denti lo si trova sempre. Per le informazioni sul Rifugio Tribbio vi rimando alla sezione B&B di questo sito.